Lo strano “caso” del nuovo falso in bilancio. Le Sezioni Unite chiamate a dirimere i contrasti interpretativi sorti in merito all’interpretazione del reato di false comunicazioni.
Secondo il rapporto 2015 sulla certezza del diritto, elaborato da World Justice Project, l’Italia occupa la 30° posizione su 102 paesi, con un coefficiente pari a quello del Botswana. Nell’ambito dei paesi comunitari solo Grecia, Romania, Croazia, Bulgaria e Ungheria hanno fatto peggio.
Non sorprende, quindi, il dibattito che si è aperto attorno all’interpretazione del novellato reato di false comunicazioni sociali (art. 2621 ss c.c.), entrato in vigore nell’estate 2015 ed immediatamente oggetto di interpretazioni giurisprudenziali diametralmente opposte.
La norma punisce gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, avendo l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico ed al fine di conseguire per sè o altri un ingiusto profitto, consapevolmente espongono nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero.
Il testo normativo precedentemente in vigore precisava che i “fatti materiali non rispondenti al vero” presi in considerazione assumevano rilevanza penale “ancorchè oggetto di valutazioni“.
Nella nuova formulazione dell’art. 2621 c.c. il riferimento alle valutazioni è stato soppresso, suscitando l’attenzione della dottrina e della giurisprudenza. Quest’ultima, a pochi giorni dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni, ha interpretato l’eliminazione dell’inciso “ancorchè oggetto di valutazioni” alla stregua di una vera e propria abrogazione della rilevanza penale delle valutazioni estimative e, conseguentemente, pronunciato l’annullamento di una sentenza di condanna per false comunicazioni sociali poichè “i fatti non sono più previsti dalla legge come reato” (Cass. V sez. pen., 30.07.2015, n. 33774).
Dopo pochi mesi, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’argomento, pronunciandosi in termini diametralmente opposti (Cass. V sez. pen., 12.01.2016, n. 890) ed affermando che, per quanto la nuova legge sconti una non sempre ineccepibile formulazione, talora persino in rapporto all’ortodossia sintattico-grammaticale, l’inciso soppresso fosse, in realtà, inutile. Il termine “ancorchè” avrebbe assolto finalità meramente ancillare e chiarificatrice del fatto che nei fatti materiali esposti nei bilanci fossero da intendere ricompresi anche quelli oggetto di valutazione.
L’incertezza interpretativa è arrivata a tal punto che la V sezione penale della Suprema Corte ha ritenuto opportuno sottoporre la questione alle Sezioni Unite, alla quale è demandato il compito di chiarire se la nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, “nella parte in cui non ha riportato l’inciso “ancorchè oggetto di valutazioni”, abbia determinato o meno un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie“.
In attesa del pronunciamento delle Sezioni Unite, permarrà l’incertezza sull’ampiezza della rilevanza penale del falso in bilancio, con buone pace della certezza del diritto.